Molestie, la dipendenza da sesso e le terapie

Incontri, avance, masturbazione compulsivi. Senza esserne mai appagati. Si tratta di una patologia da cui è possibile uscire. Come spiega lo psicologo Cesare Guerreschi, presidente della Siipac di Bolzano.

di FRANCESCA BUONFIGLIOLI

Molestie, accuse, pagine di giornali, confessioni e denunce con volti pixelati. Molestopoli si gonfia, ogni giorno di più. Negli Stati Uniti si scrive Harvey Weinstein, in Italia si legge Fausto Brizzi. Tra i casi scoppiati a catena come bubboni – tra cui quello di Giuseppe Tornatore accusato alla luce del sole da Miriana Trevisan e poi finito nell’ombra – è quello che sta facendo più rumore. E mentre le attrici che hanno lavorato con lui lo difendono – «si è sempre comportato come un gentiluomo», assicura Cristiana Capotondi – una schiera di aspiranti tali lo accusa, demolendo l’immagine di eterno bravo ragazzo capace al massimo di popolare i suoi film di personaggi adultescenti e tradimenti.

UN COPIONE CHE SI RIPETE. Dai racconti delle vittime (o, presunte tali) emergono comportamenti seriali: il massaggio, la scusa di provare una scena hard, fino alla masturbazione. Come fosse un copione messo in atto in modo compulsivo, ossessivo. Non a caso Weinstein e Kevin Spacey si sono rivolti a centri di recupero per la dipendenza dal sesso. Il molestatore, sia esso un produttore potente, un regista, un manager o un capo-ufficio può infatti soffrire di sex addiction. Dietro al “porco”, al “maiale” di turno può esserci una persona malata. Questo non giustifica o sminuisce la gravità di aggressioni e molestie, certo. Anche perché, spiega a Lettera43.it Cesare Guerreschi, psicologo e psicoterapeuta fondatore e presidente della Società Italiana di intervento sulle patologie compulsive (Siipac) attiva dal 1999 a Bolzano, certi personaggi «usano e usavano il potere per ottenere ciò di cui hanno bisogno, “Io sono famoso, e quindi tu devi fare ciò che voglio”. Ogni dipendente poi ha il proprio copione. Cambiano gli approcci che dipendono dagli stili di vita».

Ma al di là del ruolo sociale, della professione, del denaro, chi è davvero il dipendente da sesso? «Sono persone che hanno completa sfiducia in sé e verso gli altri», continua Guerreschi. «Non si ritengono degne e sono convinte che chi li circonda non si interessi ai loro bisogni». Avere una professione importante o essere ricchi non cambia certo le cose. In questo vuoto si incunea il sesso. «Credono che l’atto sessuale dia loro qualcosa, che li faccia stare meglio», sottolinea lo psicologo. Ma si tratta di un’illusione. Perché questa fame non si placa mai. Casomai si autoalimenta. «I dipendenti da sesso hanno una difficoltà enorme a controllarsi. Una volta che si attiva il meccanismo è quasi impossibile smettere, fermarsi, dirsi un secco “No”», fa notare Guerreschi. «Ecco perché si può arrivare allo stupro. La spinta è compulsiva e accompagnata da pensieri ossessivi». I dipendenti vivono un «calvario»: sanno solo che una volta precipitati in questo abisso devono raggiungere l’obiettivo. E cioè l’orgasmo. Dopo qualche ora, però, avvertono di nuovo lo stesso bisogno. E la ricerca ricomincia.

DOPO L’ATTO SOLO DISGUSTO. «Alla fine l’atto non è mai soddisfacente, non c’è appagamento ma solo la sensazione di fallimento totale, impotenza, disgusto», spiega ancora il presidente della Siipac. Questo perché i malati di sesso-dipendenza «perdono di vista la funzione “solare” della sessualità. La loro è una attività sfrenata e incontrollabile che serve solo a soddisfare, temporaneamente, il lato oscuro del desiderio». Il piacere e l’appagamento sono così sostituiti dalla «ricerca ossessiva di reiterare l’atto che può estendersi all’arco dell’intera giornata». Diventando a tutti gli effetti un pensiero fisso, ossessivo.

In Italia sulla dipendenza da sesso non esistono statistiche certe. «Secondo alcuni autorevoli istituti di ricerca la patologia riguarda l’1% della popolazione, secondo altri il 4%», spiega Guerreschi, «direi che la percentuale del 3 o 3,5% è verosimile, forse anche troppo alta». Di questi il 75% circa sono uomini, il 25% donne che, continua lo psicologo, «sono solo più attente e controllate, tra molte virgolette, nel primo approccio. La compulsione, invece, è la stessa dell’uomo e sono completamente senza freni inibitori». L’8% degli italiani adulti, invece, è dipendente dalla pornografia. «Ho incontrato pazienti che restavano incollati al pc per 20 ore consecutive, finché non svenivano o avevano crisi importanti», racconta il terapeuta che punta il dito contro la diffusione del porno in Rete. «Con i giornaletti, i cinema a luci rosse e le Vhs esistevano dei filtri, soprattutto per i più giovani. Ora invece il web facilita l’uso, e l’abuso, della pornografia». Per tutti, bambini compresi, e in ogni momento della giornata.

DAL MANAGER AL PRETE. La dipendenza da sesso è “democratica”. Ne sono affetti manager, politici, uomini di chiesa, operai. Non esiste quindi una categoria più a rischio delle altre. Tutte le storie, però, hanno un comune denominatore. «In quasi la totalità dei casi i dipendenti hanno avuto problemi di relazione in famiglia, un’educazione sessuale labile, traumi infantili, abusi sessuali non elaborati». L’insorgenza si registra «tra i 12 e i 14 anni», mette in chiaro Guerreschi, «quando i preadolescenti cominciano a masturbarsi». Anche per questo, che la masturbazione ricorra nei racconti delle vittime e dei carnefici non deve stupire. «Come sosteneva Freud, è la madre di tutte le dipendenze», sottolinea il presidente Siipac. «È come un imprinting, un elemento ancestrale. Molti malati non arrivano alla penetrazione, si limitano a masturbarsi anche in pubblico. E più sono osservati più aumenta l’elemento di eccitazione».

UN RITUALE DA RISPETTARE. Sempre l’eccitazione guida la scelta delle vittime. Uomini potenti, famosi, pieni di soldi non avrebbero certo difficoltà a soddisfare le proprie voglie pagando professioniste e professionisti. «Così facendo però», mette in chiaro Guerreschi, «non rispetterebbero il rituale che prevede il rischio. E questo aumenta l’adrenalina e quindi l’eccitazione». Per lo stesso motivo non si preoccupano di eventuali denunce, di essere smascherati. Sono consapevoli di infrangere la legge, ma soddisfare il bisogno è più forte di tutto, fa dimenticare tutto. Un dipendente da sesso può usare il suo potere come moneta di scambio: “Devi fare questo, e ti farò fare un film”», o ti darò un posto di lavoro.

I sex addicted sono quasi sempre degli insospettabil. Fino a un certo punto, spiega Guerreschi, riescono a mascherare bene la patologia. «Sono bugiardi patentati. La bugia è anche una sorta di autodifesa, mentono per proteggersi psicologicamente. Alla fine arrivano a credere alle loro stesse menzogne, si convincono che “tanto è così”, e quindi non ha senso fermarsi. Trovano un alibi per sopravvivere, per giustificarsi». E auto-assolversi. Ma quando si viene smascherati e ci si ritrova dipinti come mostri in prima pagina cosa può accadere? «Se si ha una personalità forte e ci si fa aiutare subito se ne può uscire», assicura l’esperto. «In caso contrario, se non si regge la pressione di un bombardamento mediatico le conseguenze potrebbero essere fatali». Uscire dalla dipendenza da sesso è difficile, ma non impossibile. Nel centro di Bolzano, l’81% dei pazienti non hanno avuto ricadute e possono considerarsi guariti.

I PASSI DELLA TERAPIA. «Il primo passo», spiega Guerreschi, «è fare una diagnosi corretta. Sbagliare è facile: un ipersessuato, che fa sesso tre o più volte al giorno, non è dipendente, non ha un disturbo ossessivo compulsivo, è solo portato per natura ad avere rapporti numerosi e frequenti». Per una diagnosi occorrono anche tre giorni di colloqui e test all’interno della struttura. Se si riscontra una patologia, allora si studia un intervento. «Ogni paziente ha un terapeuta fisso per tutta la durata del trattamento e partecipa a gruppi terapeutici», spiega il presidente. Non solo: nel centro di Bolzano la terapia è integrata: psicodinamica, sistemica relazionale, cognitivo comportamentale. Ed è accompagnata da psicoeducazione per aumentare la percezione del proprio corpo. In alcuni casi è prevista una terapia farmacologica. «Di base siamo contrari», ragiona Guerreschi, «ma spesso i pazienti che si rivolgono a noi soffrono di depressioni gravi, fobie, ansia che renderebbero vano ogni tipo di lavoro». La cura presso la struttura può durare da qualche mese a anni. La Siipac è una onlus e il costo è di 35 euro al giorno per otto ore di terapia. Ma esistono strutture private in cui il trattamento può arrivare a costare anche 40 mila euro. Prezzi del tutto simili alle cliniche di rehab a cui si rivolgono le star di Hollywood.

IL RUOLO DELLA FAMIGLIA. Un ruolo importante nel processo di cura è riservato alla famiglia, vittima collaterale della dipendenza sessuale. «Fissiamo incontri separati, quando i familiari accettano», continua Guerreschi. Per fare capire che dietro il marito “depravato” c’è un malato. «Alla fine i partner ci ascoltano, e se sono d’accordo si comincia una terapia familiare che è fondamentale. Per evitare che una volta a casa, il dipendente si ritrovi ancora tutti contro».

tratto da: http://www.lettera43.it/it/articoli/cronaca/2017/11/17/molestie-dipendenza-da-sesso-cesare-guerreschi-brizzi-weinstein/215647/