Con il termine proibizionismo s’intende per antonomasia il periodo fra il 1919 e il 1933 in cui negli Stati Uniti venne sancito il bando sulla fabbricazione, vendita, importazione e trasporto di alcool. Per favorire lo sforzo bellico si era proibito l’utilizzo di cereali e frutta per la produzione di alcol. Ma fortissimo era il pregiudizio per cui il consumo di alcol non potesse essere tollerato in una società industrializzata che richiedeva ordine, disciplina, piena disposizione fisica e mentale. Con il diciottesimo emendamento alla costituzione furono proibiti entro i confini degli Stati uniti la fabbricazione, la vendita e il trasporto a scopo di consumo dei liquori nocivi. Il nobile esperimento, sostenuto soprattutto da ambienti conservatori e razzisti, non solo fallì i suoi obiettivi, ma produsse anche gravi ripercussioni sociali, alimentando il contrabbando, la crescita della criminalità organizzata (gangster). Le leggi proibizionistiche non riuscirono a ridurre il consumo di sostanze alcoliche, l’unico reale effetto che sortirono fu quello di creare un enorme traffico clandestino. Ben presto nell’ambiente del commercio illecito comparirono le figure dei trafficanti e dei contrabbandieri, che smerciavano in tutto il paese gli alcolici di importazione, prevalentemente dal Canada, e quelli di produzione interna. Il proibizionismo statunitense, durò per circa 14 anni, ma in tutto quel periodo le bevande alcoliche non cessarono di essere prodotte, vendute e consumate, anzi l’uso e l’abuso incrementarono pericolosamente.

I proibizionismi possono essere generalmente distinti in due tipologie: quelli più blandi, che proibiscono solo la vendita ed il traffico della sostanza considerata illecita e quelli a regime di tolleranza zero, dove anche il semplice consumo è sanzionato, amministrativamente o penalmente. L’esperienza americana ci insegna che il costo causato dall’insuccesso delle politiche proibizionistiche sarebbe di molto superiore ai benefici a cui possono portare politiche restrittive. A tal proposito, per quanto riguarda il gioco d’azzardo, sul territorio nazionale, la riduzione della presenza di sale slot inciderebbe positivamente sulla diminuzione dell’insorgenza del GAP. Al contrario, una politica strettamente proibizionistica, non porterebbe ad altro che a un incremento la diffusione del gioco illegale in misura complessa. Da qui voglio partire con la mia riflessione, per esporre quello che è il mio personale pensiero sulle misure proibizionistiche in generale e in Italia, dove oggi vivo e lavoro, in particolare, cercando di fornire ai lettori anche una panoramica di quella che rappresenta, al momento attuale, la situazione italiana. Credo sia oggi chiaro ai più quanto le politiche proibizionistiche abbiano drammaticamente fallito gli obiettivi dichiarati. Attraverso queste ultime, il mercato illegale del gioco d’azzardo si è infatti ampliato, così come sono sempre più globalizzati il ruolo della criminalità organizzata e i fenomeni di corruzione istituzionale dipendenti da tale commercio.

Dopo decenni di lotta contro il gioco d’azzardo, potremmo dire che non vi è più alcun dubbio: le politiche repressive hanno provocato consistenti danni sul piano economico e sociale all’interno della nostra società. Io sono del parere che non serva a nulla il proibizionismo, la lotta attraverso l’assoluta proibizione, ma che sia necessario un controllo esercitato per mezzo di alcune leggi che consentano di realizzare quella che potrebbe essere definita una “legalizzazione responsabile”. Trovo che vi sia molto su cui dover e poter lavorare, che ci sia ancora molto da migliorare in Italia in materia di normativa antidroga e il lavoro principale da fare è la prevenzione, la trasmissione e la divulgazione di una cultura del gioco rispetto a quella che rappresenta oggi la situazione del gioco d’azzardo in Italia. L’unica arma veramente potente nelle nostre mani e l’informazione. C’è bisogno di personale altamente specializzato che possa fare prevenzione, altrettanto ci sarebbe bisogno di politici che si interessino ad un’unione delle forze per raggiungere tali risultati. Basta alle lotte tra pubblico e privato: solo insieme si può intervenire creando una cultura del gioco solida. La logica è la stessa delle campagne di prevenzione contro la droga o l’alcool: bisogna partire dalle basi, ovvero dalle scuole elementari e addirittura dagli asili. Ribadisco, il proibizionismo è un grave errore che pagheremo e gli Stati Uniti su questo fanno scuola.

Ci tengo a sottolineare che per quanta informazione e prevenzione venga oggi fatta, è ancora dai più sottovalutato e spesso ignorato il rapporto tra gioco d’azzardo ed insorgenza di problematiche psicologiche o disturbi psichiatrici. È oggi chiaro agli operatori del settore che la mancanza di interventi strutturati e tempestivi causano una de-regolarizzazione che può incentivare uso e abuso del gioco con conseguenze a livello psicologico e sociale di una certa portata. Dunque nuovamente, insisto sull’importanza di porre l’attenzione sulla programmazione scientifica della prevenzione e della divulgazione di una “cultura del gioco”.

Dott. Cesare Guerreschi
Ideatore, Fondatore e Presidente