DOTT. CESARE GUERRESCHI

Prima edizione 2016
© Cesare Guerreschi
ISBN 978-88-909468-5-1

Tratto dal libro: TESTIMONIANZE

“Quando la costanza della ragione vince sul demone”

TESTIMONIANZE GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO

Testimonianza di Luca:
Sono Luca, ho 22 anni, vivo con i miei genitori e con mia sorella, che è più grande di me. La mia vita è sempre stata apparentemente normale: la scuola, gli amici, i campi di calcio. I miei mi hanno sempre lasciato molta libertà e a 15 anni passavo le mie serate al pub con gli amici a bere qualche birra.

I miei sabato pomeriggio, invece, erano scanditi da eccitanti sorprese all’ippodromo; avevamo cominciato così, giusto per fare qualcosa di diverso, qualcosa di divertente e di proibito: infatti ci facevano entrare e soprattutto scommettere, nonostante fossimo minorenni e devo ammettere che questa cosa dava un sapore ancora più speciale all’appuntamento del sabato. I soldi per giocare li recuperavamo dalle mancette che ci davano i nostri genitori o i nonni, e spesso usavamo anche quelli per l’abbonamento dell’autobus. Capitava anche che alcuni signori, che se ne stavano tutto il giorno al bar dell’ippodromo, chiamavano noi ragazzi, ci davano dei soldi e una schedina, e ci dicevano su chi scommettere. È così che sono diventato il “portafortuna” di Paolo, uno simpatico, poco più trentenne, ma già sposato e con figli.
Diceva che era il mio “tocco magico” – come lo chiamava lui – a fargli vincere le corse: quando in passato giocava per sé, vinceva raramente; da quando puntavo io per lui, una vincita dietro l’altra! Niente di che, ma intanto mi lasciava una piccola percentuale sulla vincita e non solo: grazie alla sua esperienza nel campo dell’ippica, aveva cominciato ad insegnarmi i trucchi del mestiere, dandomi le dritte sulle scuderie, su come riconoscere un cavallo vincente e sulle carriere dei vari fantini. In questo modo ho iniziato a scommettere cifre un po’ più alte, sicuro del fatto che, ciò che avevo imparato, mi avrebbe portato di sicuro una vittoria. E all’inizio fu effettivamente così: più studiavo i cavalli sui giornali specializzati, più vincevo.

Avevo coinvolto anche i miei amici in questo studio, molto più proficuo di quello scolastico, e qualche giorno prima del fatidico ritrovo del sabato, ci preparavamo documentandoci sui cavalli delle singole corse e sui fantini, e ci sentivamo dei “grandi”, perché questo passatempo ci permetteva di maneggiare un bel po’ di denaro (cosa piuttosto inusuale per ragazzi della nostra età), ci faceva vincere delle cifre modeste, ma che ci davano la possibilità di fare i signori, di offrire una cena o di fare dei bei regali alle nostre ragazze. Non vi posso descrivere l’emozione che ho provato quando quel brocco venuto dal nulla, sul quale avevo puntato per gioco, per rendere l’ennesima corsa ancora più eccitante, ha tagliato il traguardo per primo – cavolo, lo pagavano 8/1 e sono stato talmente bravo da azzeccare anche il secondo e il terzo – incredibile, ho vinto quasi 25.000.000 lire! Ho offerto di tutto e di più a chiunque si trovasse in quel momento al bar dell’ippodromo: ero talmente su di giri e così orgoglioso di me, da voler rendere partecipi tutti della mia gioia. C’era anche Paolo, quella volta…mi ha abbracciato commosso e fiero della mia vittoria. Ovviamente l’ho invitato a cena, dopotutto era stato grazie a lui se ero diventato il “re dell’ippica”, quel giorno mi sentivo così, il padrone del mondo e pensare che poi invece.

Quel giorno mi sono comprato un paio di cose e ho fatto un regalo anche a mia madre, poverina, che si è sempre occupata di tutti: era così felice che non si era neppure chiesta dove avessi preso i soldi! Col passare del tempo, i miei amici si sono fidanzati e i fine settimana li passavano in dolce compagnia, ma il sabato, il mio sabato invece, restava consacrato alle corse. Ho avuto qualche storiella, ma tutte di breve durata; ho anche provato a portare la ragazza di turno all’ippodromo, ma nessuna ha mai capito la magia di quel posto, dopo un po’ volevano andarsene e si chiedevano anche cosa ci trovassi di tanto affascinante. Non avevano idea della voglia matta che avevo di giocare, di sentirmi in preda all’adrenalina…mamma mia, che bella sensazione, come una droga, che però non fa male! Visto che i miei amici e le mie “amiche” preferivano passare il loro tempo senza emozioni, a chiacchierare davanti ad un caffè, senza rischi. Mi dicevano spesso: “Tu sei pazzo” e io rispondevo sempre “Chi non risica, non rosica!”. Ho preferito continuare ad andare alle corse o in agenzia da solo.

Pensavo a quanto fossero noiosi, in fondo, questi miei “amici”, amici che in realtà avevano sempre meno da spartire con me visto che erano diventati così noiosi, banali, senza attributi e al tempo stesso mi chiedevo come facessero a sentirsi vivi. Io giocavo d’azzardo e ogni volta che puntavo non mi sentivo solo vivo, pieno di adrenalina, ma capace anche di governare la fortuna e farla girare a mio favore. Dopo quella grossa vincita ho cominciato a perdere e più perdevo e più giocavo; più aumentavano i soldi che scommettevo e maggiori erano le uscite, ma dentro di me ero sempre più certo che si sarebbe avvicinato il momento di un’altra importante vincita. Ciò doveva accadere per forza: erano mesi che non vincevo nulla e sapevo che prima o poi la fortuna avrebbe ripagato i miei sforzi. Non ho mai più vinto.

Nonostante continuassi a leggere e ad informarmi, non sono più riuscito ad azzeccare un cavallo, come se il mio “tocco magico” fosse scomparso. Le scarse vincite che a volte ottenevo, non riuscivano a coprire le perdite e nel giro di qualche mese ho perso tutto: 25.000.000 di lire e se ci penso ora mi viene male. Allora, invece, non ci avevo quasi fatto caso.

Continuavo a giocare, nonostante tutto: non mi stavo accorgendo che pian piano i miei rapporti col resto del mondo si stavano rovinando. Le uniche persone che frequentavo erano gli altri avventori delle sale corse, sì perché col tempo ho anche smesso di andare all’ippodromo: in agenzia potevo seguire più corse e potevo quindi giocare di più. La persona con la quale avevo il rapporto migliore era sempre lui, il mitico Paolo. Per festeggiare i miei 18 anni, mi ha anche portato al Casinò.

Quando sono entrato sono rimasto incantato: com’erano eccitanti quelle luci, si respirava un’aria surreale e poi, tutta quella gente di classe, restavo lì a guardare quelli che puntavano una montagna di fiches con quello sguardo pieno di attesa e il loro fremito in corpo che catturava la mia attenzione. Accidenti! Altro che cavalli, in effetti, forse, per vincere di nuovo, dovevo cambiare gioco. Ai tavoli della roulette era possibile tenere d’occhio sui tabelloni le precedenti uscite: quante volte era uscito il rosso, da quanto non usciva tal numero, e così via. La prima volta con Paolo sono rimasto a guardare e mi sono limitato a diffondere il mio “tocco magico” alle sue fiches: era facile, sembrava esserci una logica nei numeri e nei colori che uscivano; mentre lui decideva cosa puntare, io scommettevo nella mia mente e puntualmente quello che pensavo usciva! Fantastico!

Ho aspettato un paio di mesi prima di tornare di nuovo al Casinò, per darmi il tempo di mettere da parte un po’ di soldi; in quei mesi ho fatto il “bravo ragazzo”, sono andato sempre a scuola, non ho più giocato ai cavalli e i miei hanno smesso di rompere; negli ultimi tempi, infatti, erano diventati un po’ pesanti: mi chiedevano spesso dove me ne andassi, mi sgridavano per i voti a scuola e per le continue false giustificazioni che facevo quando non ci andavo; in più ai miei non andava giù il fatto che frequentassi Paolo: “Che ci fai in giro con quello lì, che invece di stare a casa con la moglie, frequenta i ragazzini”. Sono arrivati a chiedermi se lui approfittava di me (sessualmente)! Pazzesco! Roba da matti!

Quando finalmente avevo da parte la cifra che mi ero prefissato, sono tornato da solo al Casinò. Quando ho comprato le prime fiches, il mio unico pensiero è stato: “Ora sono come loro”, come quelli ben vestiti e pieni di soldi…anch’io, quel giorno, mi ero vestito da signore. Mi sono avvicinato ad uno dei tavoli della roulette e inizialmente ho osservato; sapevo cosa puntare e che strategia avrei seguito. L’adrenalina ha cominciato a farsi sentire e quando le mani hanno iniziato quasi a tremarmi, mi sono seduto, ho puntato un paio di fiches sul rosso e poi via: c’ero solo io e la pallina che girava e quella voglia fortissima di puntare ancora, ancora e ancora.

Quelli “di classe”, che giocavano con me non esistevano più: io, il croupier e la pallina. Nient’altro. Ho vinto parecchio e quali cifre girano in questo posto – pensavo – e più vincevo, più scommettevo forte. Ho anche perso quel giorno, ma una volta tornato a casa, dopo 6 ore volate come fossero un minuto, ero sopra: avevo in tasca quasi il doppio dei soldi di quando ero entrato. Da quel momento in poi, mi sono concesso il Casinò una volta a settimana, come premio: stavo “buono” tutta la settimana e nel week end chiedevo l’auto a mio padre. Gli dicevo che mi serviva per uscire con gli amici, perché così lo tranquillizzavo un po’. Non avrebbe mai accettato di sapermi al Casinò, per di più da solo – a volte prendevo anche dei soldi di nascosto dal suo portafoglio -. Sono sempre stato attento a non farmi beccare, ma se avesse saputo dove andavo forse avrebbe capito dove erano finiti quegli ammanchi. Ogni volta saltavo in macchina, mettevo in moto e poi un vuoto, un salto nella mia mente, senza pensieri e mi ritrovavo già lì.

Senza che me ne rendessi conto, con il passare dei mesi, avevo perso l’equivalente di quello che avevo vinto quel giorno all’ippodromo, ma in fondo avevo la certezza che prima o poi la fortuna sarebbe tornata a sorridermi, dopotutto lo aveva già fatto e da allora erano passati quattro anni. La fortuna era ancora in debito con me. Le puntate aumentavano, perché più soldi giocavo una volta, più aumentava l’adrenalina e la possibilità, in caso di vincita, di ottenere più denaro. Non ho più vinto, ma arrivato a quel punto, non m’interessava più nulla: io volevo solo giocare, giocare e ancora giocare ed era l’unico modo per sentirmi ancora vivo.

Il resto era uno schifo: debiti giganteschi, per uno della mia età, gli amici erano solo un mezzo per ottenere più soldi, la famiglia era diventata solo un peso con tutte quelle domande e quei tentativi di controllarmi – non mi controllavano a 15 anni e ora, che ne avevo 21, dovevano cominciare a rompere -. Più passava il tempo, più mi sentivo schiacciato: c’era l’ansia di ripagare quelle persone, che fuori dal Casinò mi avevano cambiato gli assegni e che mi stavano col fiato sul collo; poi c’erano i miei genitori, che erano venuti a sapere dove andavo in macchina ogni week end e non mi scorderò mai mia mamma in lacrime, quando ha scoperto che ero stato io a rubare i suoi gioielli e a rivenderli per procurarmi i soldi che mi servivano. Anche mio padre, quasi mi ammazzava. Ma non capivano, non l’avevo fatto apposta…o forse sì…forse mi erano solo sfuggite le cose di mano. Ero stanco, affaticato, non so come altro descrivere le mie sensazioni. Il mal di stomaco mi tormentava ed era tanto tempo che non riuscivo più a passare una notte tranquilla, con un sonno normale. Avevo quasi 22 anni e me ne sentivo addosso almeno il doppio. Non avevo più uno straccio d’amico, ma solo creditori incavolati. Le bugie che avevo accumulato in tutti gli anni passati, improvvisamente pesavano come macigni. È stato come se di colpo, di fronte a mia madre in quelle condizioni, mi fossi reso conto di tutto quello che in realtà era successo negli ultimi sei anni: niente, non avevo combinato niente di buono ed il tempo era passato senza che me ne accorgessi. Ma com’era possibile che la mia vita fosse passata così? Avevo sprecato gli anni più belli che si sia trattato di uno spreco, però, me ne rendo conto solo ora che ho intrapreso un percorso terapeutico, che mi sta restituendo la mia vita.

Mi trovo in cura da un paio di mesi alla S.I.I.Pa.C. di Bolzano e qui, a parte il calore e la comprensione totale di cosa prova un giocatore, ho scoperto che si tratta di una vera e propria malattia psichiatrica. Stanno aiutando anche la mia famiglia, sostenendola e dando loro tutto il supporto psicologico di cui hanno bisogno. Qui si occupano anche della sfera economica del rapporto che ho con il denaro: è assolutamente vero, infatti, che noi giocatori abbiamo perso il contatto con il valore dei soldi, 10.000 euro o 100.000 euro erano la stessa cosa. Sto lentamente prendendo coscienza dei problemi di fondo che mi hanno portato a rifugiarmi nel gioco. È difficile stare in astinenza, prima di tutto perché ora mi accorgo di quante occasioni vengono offerte per giocare, di quanti messaggi legati al gioco d’azzardo riceviamo ogni giorno, dalla televisione, per strada, nei discorsi della gente; ma la cosa più difficile per me è riuscire a controllarmi e a non andare a giocare nei momenti stressanti.

Devo dire che tutto sommato, però, non è impossibile vivere senza gioco, anzi: sto iniziando a rendermi conto dei miei reali desideri (come, ad esempio trovare una ragazza!), riesco a dormire (finalmente!), ho trovato un lavoro che mi piace e ho ripreso i contatti con alcuni vecchi compagni di scuola. So che posso farcela e sono orgoglioso dei passi ho già fatto.